In questo podcast vi racconto come può cambiare il rapporto con il cibo nelle diverse fasce di età, dalla prima infanzia all’adolescenza.
Durante l’infanzia e l’adolescenza possono sorgere diversi tipi di comportamento nella relazione con il cibo che, pur non essendo dei veri e propri disturbi, preoccupano lo stesso i genitori.
Molti bambini passano fasi di vere e proprie manie mangiando, ad esempio, solo pochi tipi di cibo o evitando alcuni colori. Comportamenti di questo tipo possono rientrare nel bisogno di sicurezza che i bambini, fisiologicamente, provano.
Crescere è una grande avventura che porta con sé momenti di eccitazione per le nuove scoperte ma anche sentimenti di paura e incertezza. I bambini, in determinate fasi di crescita o magari perché qualcosa intorno a loro li ha un po’ destabilizzati, cercano di “aggrapparsi” a ciò che conoscono bene per ricercare un maggior senso di sicurezza. Una separazione, la nascita di un fratellino, un periodo di malattia possono rappresentare momenti di crisi che richiedono profonde rassicurazioni.
Ricordiamoci sempre che il cibo non è mai solo cibo ma rappresenta anche un simbolo di cura e affetto e sul quale, a volte, vengono proiettate difficoltà, ansie e fatiche relazionali. Guardando le cose da questa prospettiva possiamo immaginare la classica pasta in bianco, che richiedono insistentemente, come un’ancora alla quale si aggrappano.
E’ importante osservare il bambino nel suo complesso: l’essenziale non è quanto mangia ma che cresca, si sviluppi normalmente e conservi la voglia di vivere.
La pediatria ci insegna, infatti, che se l’assunzione calorica è tale da soddisfare la fame e se questi bambini crescono normalmente non c’è da preoccuparsi.
Intorno all’anno, poi, alcuni bambini – in assenza di patologie- diminuiscono anche drasticamente la quantità di cibo introdotto; hanno meno appetito. In realtà è perché la velocità di crescita diminuisce e quindi il corpo ha necessità di meno “carburante”!
Lo svezzamento è un momento delicato poiché rappresenta un allontanamento fisico del corpo del bambino da quello della madre e un processo di separazione anche mentale. Si tratta di un momento particolare sia per il bambino che per la mamma. E’ preferibile che si realizzi in modo progressivo, senza brusche svolte o particolari inquietudini. In questa fase di passaggio e di evoluzione entrambe perdono quell’intimità dell’allattamento: ora ci sono le pappe, il cucchiaio, il piatto. Tutte cose che portano con sé l’esperienza della separazione.
E’ normale che il bambino viva emozioni contrastanti di odio-amore poiché proprio adesso si rende conto che la madre non è sempre disponibile. L’intensità delle emozioni può spaventare o portarlo ad un passaggio all’atto mordendo, ad esempio, il seno materno. In queste situazioni è importante accogliere anche questa parte aggressiva con pazienza e senza recriminazioni. Ogni mamma potrà trovare il proprio modo di rispondere al figlio, cercando di essere il più autentica possibile: si può esprimere il dolore che si sta provando con fermezza e dolcezza, senza necessariamente far sentire in colpa il bambino.
Con l’ingresso al nido o con l’inizio dei due anni (la fase in cui il piccolo inizia ad affermare la propria personalità) il cibo può diventare l’ambito in cui si mettono in scena comportamenti di opposizione o di sfida: erroneamente li chiamiamo capricci ma in realtà sono forme particolari di comunicazione, un atteggiamento da interrogare per poter meglio comprendere come intervenire.
Un altro momento delicato è intorno ai 6 anni con l’ingresso alle scuole elementari. Ci sono bambini che trascorrono la prima infanzia evidenziando un rapporto consono alla cultura famigliare, adeguandosi ai criteri dei genitori e che poi, intorno agli 8/10 anni incontrano la necessità di una maggior soggettivazione che li porta a servirsi del comportamento alimentare per opporsi o trasgredire, per rivendicare un margine di autonomia. Stessa cosa in adolescenza, dove ancora di più è forte l’esigenza di emanciparsi psicologicamente.
E allora come gestire questi momenti critici?
Le indicazioni generali per i genitori sono sicuramente quelle di evitare di entrare in circoli viziosi: l’insistenza genera resistenza. Spesso il no del bambino davanti al piatto è direttamente proporzionale all’insistenza degli adulti sul cibo. Ridimensionando il braccio di ferro spesso le cose migliorano.
Concludo con una specifica in merito alla quantità di cibo.
E’ bene ricordarsi che ogni essere umano fin dalla nascita è dotato di una capacità di autoregolazione. E’ una competenza che va sostenuta e rafforzata poiché è alla base della salute psichica e fisica.
A questo proposito vi racconto un esperimento condotto da una pediatra americana di nome Clara Davis, all’inizio del ‘900. Questa dottoressa verificò la capacità precostituita dei bambini di selezionarsi da soli una dieta nutrizionalmente corretta.
Scelse 15 bambini, in un orfanotrofio, tra i 6 e gli 11 mesi e li mise davanti ad una tavola dove era presente una selezione varia di cibi di qualità (proteine, carboidrati, verdura, frutta, no zuccheri e cibi industriali). I bambini erano liberi di scegliere cosa e quanto mangiare. Furono seguiti per i suoi successivi 4 anni e l’esperimento dimostrò che non avevano nessuna alterazione di crescita e godevano di ottima salute.
Io dico sempre che nessuno, nemmeno la madre, può sapere più del bambino stesso quanto deve mangiare.
Può saperlo solo lui. Se lo rispettiamo nei suoi tempi favoriamo la costruzione di una assetto di base che propenderà più verso la salute. Rispettare la bioritmicità di nostro figlio significa anche riconoscerlo come persona capace di iniziativa e dotato di un valore. In altre parole stiamo gettando le basi per la sua autostima e per la sua fiducia nel mondo.
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