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Parlare di sesso con i nostri figli: alcuni suggerimenti

come parlare di sessualità con i nostri figli

Parlare di sesso con i nostri figliL’esperienza dei progetti di educazione all’affettività nelle scuole primarie e l’incontro con i genitori mi ricordano di quanto sia paradossale la situazione che viviamo oggi: nella società in cui non si raccontano più le favole dei cavoli e delle cicogne parlare di sesso è ancora un tabù, soprattutto se l’interlocutore è il proprio figlio.

I genitori si vergognano (me l’hanno detto loro!), sentono di non avere le competenze giuste per poter affrontare con serenità l’argomento, si chiedono quando e soprattutto come farlo.

Naturalmente non è vero che i genitori vanno in crisi, davanti alle domande dei figli, perché sono poco capaci o non hanno conoscenze sull’argomento. La questione è più sottile.

PERCHÉ PARLARE DI SESSO CON I NOSTRI FIGLI É DIFFICILE?

Parlare di sesso ci coinvolge emotivamente perché va a toccare i nostri vissuti più profondi, ci obbliga a svelarci un po’ di più e a fare i conti con la nostra intimità. C’è poi un altro fattore che entra in gioco: quando parlo di sesso  con mio figlio, indirettamente, è come se stessi dicendo qualcosa a proposito del rapporto sessuale che c’è nella coppia mamma-papà; può essere imbarazzante, sono d’accordo, ma questo non deve impedirci di affrontare l’argomento con serenità e naturalezza.

Spesso le domande arrivano proprio nei momenti più inopportuni e quotidiani (tipo mentre stiamo parcheggiando o svuotando i sacchetti della spesa). Non è un caso. Per i bambini la sessualità, almeno inizialmente, è un argomento come un altro, non c’è bisogno di inventarsi riti o atmosfere particolari per poterne parlare. E’ solo dopo, ovvero in base a quale sarà la risposta ambientale e culturale, che il bambino imparerà ad associare,eventualmente, l’emozione della vergogna all’argomento sesso.

Nei primi tre anni di vita il bambino inizia a costruire la propria identità sessuale osservando i genitori in quanto uomo e donna. Dai tre a sei anni cominciano le prime domande sulla pancia della gravidanza per poi, dai 7 anni fare domande più specifiche come ad esempio “Ma come ha fatto il bambino ad entrare nella pancia?” o se nelle fasi precedenti abbiamo spiegato del semino e dell’ovetto potrebbe chiedere : “Ma come ha fatto papà a mettere il suo semino nella pancia della mamma?”

Ok, calma e sangue freddo. Cominciamo per gradi. Prima regola: il modo in cui si affronta l’argomento.

E quale sarebbe l’atteggiamento migliore da assumere con i nostri figli?

  • NON EVITARE LE DOMANDE. Se non ve la sentite di rispondere proprio in quel momento prendete tempo. Siate sinceri e ditelo apertamente al bambino: “La domanda che mi stai facendo è importante  e merita la giusta attenzione. Ne parliamo più tardi, una volta arrivati a casa così potremo prenderci tutto il tempo e la calma necessari”
  • NON BANALIZZARE O IRONIZZARE (o peggio ancora fare del sarcasmo). E’ assolutamente normale e fisiologico che i bambini siano curiosi e sentano il desiderio di fare domande su un argomento così sconosciuto. Consideratelo come un momento di crescita e di spinta evolutiva: è un’opportunità per rinsaldare il vostro legame, confermando la vostra disponibilità ad esserci in tutte le situazione di dubbio, confusione o difficoltà. Se alle mie domande papà mi prende in giro ridendo o la mamma banalizza io bambino non sentirò di poterle riproporre in altre situazioni e crescendo mi convincerò che forse questo è argomento da evitare e che le risposte dovrò recuperarle in autonomia, fuori casa, con tutti i rischi del caso (su internet, dai coetanei, dal fratello più grande del mio amico)
  • AFFRONTIAMO LE COSE CON GRADUALITA‘. La regola di fondo è che dovremo dire sempre la verità ma non dimenticando di adattare il linguaggio all’età del bambino, rispettando le sue tappe evolutive, semplificando con esempi concreti e soprattutto.. senza avere fretta.
  • PARTIAMO DAL LIVELLO IN CUI SI TROVA IL BAMBINO. E’ utile capire a che punto è nostro figlio: “Perché mi stai facendo questa domanda. Tu cosa ne sai già?” Permette di prendere tempo e gestire le emozioni suscitate, per trovare la risposta giusta.
  • RICORDIAMOCI CHE LA COSA IMPORTANTE E’ STARE. Siamo noi genitori che pensiamo di dover dare  risposte ricche di particolari. Spesso accade, invece, che i bambini ci pongano una domanda e dopo pochi secondi dall’inizio della nostra risposta si dedichino completamente ad altro, senza aspettare la fine del nostro discorso. Non sono strani, non è vero che non sono interessati: il più delle volte hanno solo bisogno di capire e sapere che noi siamo lì con loro. Siamo disponibili a stare. Senza fare grandi cose ma stare con lui, nei dubbi, nell’ascolto.

PARLARE DI SESSO CON I NOSTRI FIGLI: QUALE LINGUAGGIO UTILIZZARE?                                   

E’ importante essere consapevoli delle emozioni che nascono quando dobbiamo parlare di sesso, affinché sia possibile gestirle, senza che ci conducano a mettere in atto comportamenti difensivi.

Ci sono tre tipi di linguaggio:

  • Scientifico (ad esempio: pene, vulva): è sicuramente il più corretto per trasmettere le informazioni giuste ma se usato (troppo) in famiglia può trasformarsi in un alibi dietro al quale nascondersi per evitare un coinvolgimento. Alcuni genitori, ad esempio, per non provare imbarazzo utilizzano un eccessivo tecnicismo riducendo la comunicazione a qualcosa di sterile e poco incisivo poiché senza un coinvolgimento emotivo non c’è la possibilità di apprendere il significato profondo della vita e dei legami.
  •  Volgare (evito di scriverle ma ci riferiamo alle parolacce) : viene usato a volte dai bambini per sentirsi più grandi. E’ un linguaggio che svaluta profondamente il corpo e la dimensione stessa della sessualità. A volte la utilizzano coi i genitori per sfidarli: in questi casi dimostriamo di non aver paura del termine in sé, magari ripetiamolo per far vedere che non ci sconvolge ma proponiamo dei termini più corretti proprio per riconoscere il giusto valore e la dignità alla dimensione corporea.
  • Familiare (ad esempio: pisellino, patatina):  è il tipo di linguaggio più indicato e, istintivamente, ogni famiglia ne crea uno. Permette di affrontare l’argomento con il giusto clima emotivo caratterizzato da intimità, vicinanza e rassicurazione. Accertiamoci solo che i bambini conoscano anche la terminologia corretta.

Ultimo suggerimento! Cerchiamo di essere consapevoli della comunicazione non verbale ovvero quell’insieme di gesti, sguardi, posizione del corpo che completano il modo di parlare.

Sediamoci uno di fronte all’altro, respiriamo. Utilizziamo un tono di voce calmo e affettuoso, sorridiamo e guardiamoci negli occhi. Il nostro modo di comunicare influenzerà il modo in cui nostro figlio sentirà e si approccerà all’argomento. Se lo facciamo in tranquillità il bambino imparerà che non c’è nulla di cui vergognarsi e che in noi troverà sempre un porto sicuro, una figura pronta ad ascoltarlo.

Ogni bambino ha il diritto di sapere che è nato da un gesto d’amore, che c’è stato un pensiero, un desiderio che ha preceduto e favorito il suo arrivo.

Che è qui perché prima, da qualche parte nel cuore dei genitori, era già presente.